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Longchamp, supercar in incognito

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Sul finire degli anni ’60 la De Tomaso, omonima fabbrica di automobili sportive fondata dal pilota argentino Alejandro approdato a Modena un decennio prima, era una realtà affermata nel l’esclusivo club dei costruttori di supercar. Nel 1966, in anticipo sulla Miura che nell’immaginario collettivo è vista come la prima muscle car all’italiana, al salone di Torino viene presentata la Ghia 5000, conosciuta poi con il nome di Mangusta. mangusta

La Mangusta fu un successo che si spinse ben al di là delle previsioni, la produzione venne fermata anzitempo a 402 esemplari per lasciar spazio nel 1971 alla sua sostituta, la più gestibile Pantera. De Tomaso non si era inventato come costruttore di automobili, era la naturale evoluzione della sua passione per le corse.

Prima di iniziare l’esperienza con la Mangusta la fabbrica modenese si era cimentata nella produzione di piccolissima serie con la Vallelunga, berlinetta a 2 posti con motore centrale Ford a 4 cilindri di 1500 cc. derivato dalla versione di serie. La Vallelunga rappresenta il primo tentativo di capitalizzare l’esperienza fatta nel mondo delle corse anche se De Tomaso non mancherà di sviluppare propri motori a 6 e 8 cilindri anche per la Formula 1, 2 e Junior.

L’occasione di diventare un industriale di successo si presentò presto e Alejandro colse l’occasione come era solito fare. Con l’aiuto finanziario della Rowan Industries , di proprietà della famiglia della moglie Elisabeth, acquista la Ghia e la Vignale che gli consentiranno poi di costruire e assemblare in-house le carrozzerie. “Ora che siamo armati, partiamo!” potrebbe aver pensato Alejandro quando va da Lee Iacocca, allora CEO di Ford, per discutere dei progetti Deauville e Longchamp che da li a poco avrebbero dovuto competere con i ben più blasonati costruttori di automobili ad alte prestazioni. Infatti, grazie al suo indiscusso fiuto per le novità e le future richieste del mercato capì che si stava delineando un nuovo segmento, quello delle automobili ad alte prestazioni di uso quotidiano. Chi sognava le prestazioni di una Mangusta o una Pantera ma che per esigenze di famiglia o età doveva optare per una maggiore abitabilità senza rinunciare alla linea sportiva, non doveva far altro che scegliere la Longchamp.

Solo 17 Longchamp sono state costruite con il cambio ZF (S5-24-3) a 5 marce che già trovava applicazione per esempio sulle ancora più esotiche Iso Rivolta e sulla totalità delle Maserati V8 di fine anni 70 e 80. La maggior parte invece era equipaggiata con il cambio automatico Ford C6 a 3 rapporti con convertitore di coppia, robusto e affidabile che garantisce, in abbinamento al motore Cleveland 351C 4V di 5769cc, prestazioni di assoluto rilievo, con una velocità massima (stimata) di 235 km/h. Il 351C è stato per lungo tempo il fiore all’occhiello della produzione Ford, un performante superquadro 8 cilindri a V in ghisa capace di sviluppare 330CV nella versione alimentata con il carburatore Holley quadricorpo. Il sodalizio tra Ford e De Tomaso affonda le sue radici lontano, prima con la Vallelunga poi con la Pantera, passando per la Mangusta che avrebbe dovuto montare, nelle intenzioni di De Tomaso, un proprio propulsore V8, un quad-cam con cui rivaleggiare con le conterranee Maserati e Ferrari; il nuovo V8 made in Modena rimase tuttavia poco più di un prototipo e non venne sviluppato. In occasione della presentazione  della Deauville nel 1971, alla stampa viene comunicato che il motore sarebbe stato questa volta un Ford, anche questo quad-cam, alimentato da una batteria di quattro Weber DCN42 come sulle sportive modenesi del tempo ma come il precedente non trovò seguito. Il ponte posteriore invece è di tipo Jaguar con dischi freno in- board che trova in quegli anni applicazione oltre che sulla Longchamp e Deauville anche sulla Maserati Kyalami e Quattroporte. La scelta finale, forse in prospettiva di una distribuzione massiccia anche negli Usa, cade però sul semplice e robusto Cleveland nella configurazione 4V così che le vetture potessero trovare assistenza nella rete ufficiale Ford. Deauville e Longchamp non vennero esportate ufficialmente negli Usa probabilmente a causa del naufragio del sodalizio tra De Tomaso e la Ford e i numeri complessivamente lo testimoniano: 405 Longchamp trovarono un acquirente in circa 15 anni di produzione.

Guerino Bertocchi, all’epoca Direttore Commerciale e collaudatore delle De Tomaso, spendeva parole di elogio per la Longchamp, per l’equilibrio raggiunto con il modello in termini di prestazioni, di tenuta di strada e rigidità del telaio. Quest’ultimo non è del classico tipo a tubolare bensì scatolato e progettato da Gian Paolo Dallara per la Deauville, accorciato poi per la Longchamp. I padri nobili del modello non sono ancora finiti perché la linea della nuova nata viene ancora affidata alla Ghia, all’epoca nella galassia De Tomaso, dove nel ’71/’72 lavora Tom Tjaarda, un giovane architetto venuto da oltre oceano e che troverà in Italia la sua patria d’adozione. Il design di Tjaarda per la Longchamp è molto diverso da quello creato un anno prima per la Deauville, dalle linee curve si passa a quelle linee tese e dritte tuttavia senza abdicare al proprio credo stilistico, la proporzione delle forme vera culla della bellezza.

La purezza del disegno di Tjaarda verrà ripreso qualche anno dopo per la versione anabolizzata, la GTS, che poteva contare con paraurti allargati, pneumatici e cerchi maggiorati tuttavia senza che ciò implicasse più potenza perché quella erogata dal V8 di Detroit era sufficiente a portare la macchina al limite nella guida non professionale. E forse anche oltre. Il prototipo della Longchamp fu presentata nel 1972 al salone dell’automobile di Torino con soluzione estetiche ed aerodinamiche più aggressive di quelle di serie. Il paraurti massiccio integrato con il muso e la coda sottolineava la pulizia delle linee e l’armonie dei volumi mentre la presa d’aria a bocca di squalo donava un smaccata aggressività che avrebbe dovuto impensierire quei malcapitati che avessero visto per un attimo la sagoma della Longchamp nello specchietto.

Nella versione di serie i paraurti, troppo costosi da produrre, sono sostituiti dalle tipiche lame cromate con profilo in gomma e la vistosa presa d’aria in vetroresina cede il passo a ordinarie griglie metalliche . Gli interni del prototipo, al pari di quello della Iso Rivolta Lele, sono audaci e anticipatori di stile che si consoliderà solo nel decennio successivo. La produzione di “serie” opterà invece per quelli più in linea con la tradizione De Tomaso:in primo piano i due grandi orologi della velocità e giri motore circondati dagli ausiliari per dare al driver ogni informazione essenziale sulla marcia. La Longchamp è una autovettura di lusso, e questo traspare dal largo uso che si fa di pelle Connolly, e pregiato velluto assemblato da artigiani pellettieri locali.

Sarebbe sicuramente risultato più economico replicare il cruscotto della Deauville, ma Tjaarda deve aver evidentemente ritenuto che il target di acquirente a cui si rivolgeva la Longchamp avrebbe gradito qualcosa di meno tradizionale: del tipo “meno legno, non è una barca!”. A completare la gamma ci pensò la Carrozzeria Pavesi di Milano che propose sin dal 1976 una versione scoperta: ne vennero prodotti solo 14 esemplari, il prezzo era circa il doppio della versione coupe.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!