Marchi del passato

De Tomaso visto da vicino: intervista a Tom Tjaarda

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Continuiamo con le nostre interviste a chi ha davvero conosciuto Alejandro de Tomaso, a quelli che con lui hanno condiviso parte della vita e conosciuto aspetti della sua che sono (forse) sfuggiti a chi oggi lo relega arbitrariamente e infondatamente nel girone dei “delinquenti”. Alejandro De Tomaso non era certo un missionario né il suo fine ultimo era quello di operare per la pace nel mondo, era un imprenditore con grandi e formidabili ambizioni che una vita non è bastata a realizzare.

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Dopo Piero e Lele Rivolta  abbiamo intervistato un grande del design automobilistico mondiale, che con De Tomaso ha condiviso alcuni fittissimi anni, intrisi di grandi aspirazioni, successi e delusioni: il designer e stilista (italo)americano Tom Tjaarda.

Tom è un designer già affermato quando conosce De Tomaso, aveva già disegnato alcuni capolavori che hanno segnato il design automobilistico degli anni 60 e che ancora oggi ne costituiscono le basi e condizionano la sua evoluzione. Innocenti Spider, Ferrari 330 GT e 365 Spider California, Lancia Flaminia Pininfarina, Chevrolet Rondine, Fiat 124 Spider sono solo alcune delle creazioni stilistiche di Tom (la biografia di Tom scritta da Filippo Disanto è edita dall’Accademia Vis-Vitalis) prima di incontrare il pilota argentino che stava muovendo i suoi primi passi italiani come imprenditore (spalleggiato dalla Ford).

Tom  parla volentieri di De Tomaso, di lui ha un ricordo vivido che via via si fa strada.

De Tomaso era fatto così, con lui contava l’obiettivo, non c’era mai niente di personale nella critica, anche quella più aspra. Quando la rabbia sbolliva, si procedeva dal momento in cui si era persa la lucidità, era una parentesi passeggera entro cui poteva succedere di tutto e sommando le parentesi è veramente successo di tutto. Bisognava saperlo prendere e, come disse Giugiaro a Tom, bisognava tentare con lui perché potevano esserci moltissime opportunità e così è stato.

Lei ha disegnato molti modelli per De Tomaso, Pantera, Deauville e Longchamp. Come sono nate?

Quando la Ford comprò la Ghia, prima il 50% poi l’intero pacchetto azionario, un giorno vennero in carrozzeria Lee Iacocca e Henry Ford II e chiesero che la Ghia producesse auto eleganti per competere più con Jaguar e Mercedes che con Iso Rivolta, Maserati o Monteverdi. Supercar eleganti e confortevoli. Allora i modelli nuovi non si facevano con ricerche di mercato alla mano, indagini ergonomiche, etc. Jaguar e Mercedes erano gli esempi. Io disegnai quindi un automobile che assomigliasse alla Jaguar per quanto riguarda la Deauville e alla Mercedes per la Longchamp. Questo è quello che voleva Ford e Iacocca. Dovevano assomigliare a una Jaguar senza esserlo, doveva essere sempre riconoscibile, la gente doveva esclamare “è una Deauville!”. Era una macchina molto elegante, molto guidabile, il comportamento stradale era nettamente migliore della Pantera. La Deauville era una macchina nata bene, il telaio disegnato da Dallara conferiva alla vettura un comportamento eccezionale. Le gomme erano il vero limite della macchina e quando le gomme vennero migliorate il comportamento complessivo della macchina ne risultò decisamente migliorato. De Tomaso prediligeva la Deauville, aveva un istinto di guida formidabile, la preferiva a tutte, ne aveva una bronzo metallizzato che guidava sempre: quante volte siamo andati da Torino a Modena con la Deauville!

Quando ha disegnato la De Tomaso Zonda ha pensato alla Ghibli per lo stile?

Fu fatta una sola macchina senza motore. È una macchina nata un po’ stranamente. E’ nata dopo la Pantera e la Longchamp ed inizialmente De Tomaso aveva incaricato una ragazza ex Italdesign, Giulia Moselli, a cui affidare questo modello, però essendo una illustratrice e non una stilista, aveva fatto un modello intrinsecamente sbagliato, mancava tutto e allora lo ripresi io correggendolo: venne fuori la Zonda. Si ritenne che assomigliasse troppo alla Ghibli e fu spedita negli Stati Uniti alla Ford dove rimase come esemplare unico. Recentemente è stata venduta ad un asta di prototipi Ghia e se ne sono perse le tracce.

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Secondo lei De Tomaso voleva costruire macchine o fare altro?

Quando ho conosciuto De Tomaso era impegnato su tanti fronti, aveva tante idee che voleva realizzare. Inizialmente usava i soldi della moglie perché ne aveva pochi. Per apprezzare De Tomaso e la sua personalità bisognava conoscerlo, non arrendersi alla prima impressione, lui era un pilota e voleva fare macchine. Tomaso era una persona divertente, lui provocava gli altri, gli piaceva fare i duelli. Quando pizzicava la gente lo faceva per conoscerne la reazione, era il suo modo di conoscere le persone, di conoscerne i limiti. Era molto intelligente e sapeva fin dove poteva arrivare e lì si fermava sempre. Tutti parlavano male di De Tomaso ma io per la verità sono stato bene con lui perché mi lasciava fare quello che volevo, criticava è vero, a volte aspramente, controllava il mio lavoro, tuttavia continuava ad affidarmi progetti e mi lasciava lavorare in libertà di fare quello che volevo. Prendeva le persone migliori e le lasciava esprimere: non imponeva mai il suo punto di vista. Mi disse fai la nuova Mangusta, poi dopo i contatti con Ford e Iacocca divenne la Pantera. Senza imposizioni.

La Pantera come è nata?

Mi disse fai una macchina nuova, fai una nuova Mangusta. Una volta insediato Iacocca alla direzione della Ford, diventò la Pantera.

La Mangusta era piena di difetti, quindi occorreva fare un nuovo modello che segnasse un distacco da quello precedente. Andava ripensata e realizzata sul nuovo telaio disegnato da Dallara per eliminare anche le criticitù manifestate dal telaio monotrave.

La macchina fu realizzata velocemente, De Tomaso insisteva nel fare in fretta per portare la macchina a New York. In meno di un mese facemmo disegni e modello che piacque moltissimo a Iacocca. Quando lo vide avevamo finito di verniciarlo da appena due giorni e nel giro di 10 minuti lui e De Tomaso lo approvarono e si cominciò immediatamente con la produzione.

De Tomaso voleva emulare Agnelli?

Si e in un certo modo c’è anche riuscito diventando un grande industriale, però aveva troppi progetti per la testa, troppe ambizioni. Contemporaneamente arrivai a disegnare per lui, moto, macchine , barche…faceva troppe cose insieme, non si concentrava su obiettivi specifici. Non dormiva mai, 2 ore per notte e si alzava alle 5 anche per curare il giardino dell’hotel Canalgrande e poi andava a lavorare alla Maserati, alla Innocenti, alla Benelli…

De Tomaso l’ha mai delusa in qualche cosa?

Tanta gente è rimasta delusa da De Tomaso, ma bisogna conoscere la persona, andare in fondo. All’inizio avevo paura di lui, mi criticava, mi pizzicava però ma mi lasciava lavorare. Ma poi ho capito come ragionava, che cosa voleva e tutto è andato meglio, mi sono adattato a lui. Quando ho disegnato la Pantera, ho fatto il disegno, il modello, e l’ho spedito a New York ma lui è andato a New York con Giulia Moselli – che era molto carina- dicendo alla stampa che la Pantera l’aveva disegnata lei. Io avevo già avvertito alcuni amici giornalisti che la macchina era mia e quindi la notizia uscì corretta.  Non mi licenziò di certo, la sua era solo un operazione di marketing non certo per oscurare me. De Tomaso era così, bisognava fare il suo gioco, e solo così potevano esserci molte opportunità e alcune molto significative. Alcuni colleghi non riuscirono a fare il suo gioco e si trovarono molto male con lui. Fare il suo gioco significava non prenderlo di petto, smussare l’atteggiamento e continuare a fare. Quando disegnai la Mustela, lavoravo contemporaneamente su 7 macchine e la macchina non ebbe molto successo, la feci molto in fretta. Lui era molto “contrariato” per questo però poi si pensò subito alla nuova macchina. Poteva accadere che mi licenziasse il giovedi per poi chiamarmi il lunedi seguente in ansia chiedendomi a che punto ero con il lavoro…ci voleva molto autocontrollo.

Se De Tomaso non fosse stato colpito da ictus avrebbe continuato a comprare nuove aziende?

Francamente non lo so, aveva troppi progetti in corso, lo stesso progetto Biturbo molto valido non fu però adeguatamente sviluppato. Gli americani compravano una Maserati e la guidavano come una Chevrolet o una Ford, ed era inevitabile che ne rimanessero delusi perché la usavano tutti i giorni senza però avere l’accortezza necessaria per una macchina cosi, una era diversa dall’altra! Mancava il testing, mancava il controllo qualità, troppa fretta nella produzione. Mancava affidabilità. Lui aveva grandi capacità, correggeva subito i difetti avvalendosi di Bertocchi che era decisivo nella soluzione dei problemi ma ce ne volevano 10 dei Bertocchi! Iacocca era molto amico di De Tomaso e divenne anche mio amico. Era molto criticato in America per aver acquisito De Tomaso e Ghia, ma poi alla fine i successi commerciali di Pantera e Ford Fiesta (fatta alla Ghia) lo salvarono delle critiche.

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Lui non voleva vendere a Fiat, lo dovette fare alla fine perché aveva molte difficoltà, ma non voleva.

Di tutte le macchine che ha disegnato quale vorrebbe ridisegnare o comunque migliorare?

Proprio questa mattina mi ha chiamato un amico dagli Stati Uniti per chiedermi cosa ne pensassi di un intervento radicale che voleva fare sulla sua Mangusta per migliorarla, rinforzarla dove era debole, insomma voleva una mia opinione. Il punto però è che quelle macchine erano fatte così, sono figlie del loro tempo e come tali devono rimanere. Senz’altro si guiderà meglio, senz’altro andrà meglio ma non è più la De Tomaso Mangusta, è un’altra macchina, è un falso. Bisogna salvaguardare l’identità di una macchina, il restauro deve essere finalizzato a mantenere la vettura, conservarla nella sua identità. Senza snaturarla con restauri molto spessi troppo invasivi e avvilenti.

Delle auto che ha disegnato quale è secondo lei la più riuscita?

La Pantera senza dubbio. È una macchina molto apprezzata anche oggi, che conta club di enthusiasts in tutto il mondo.

De Tomaso perché dovrebbe essere ricordato?

Nessuno doveva fare per forza affari con lui, lui era molto furbo. Mi dicono che sono ingenuo ad apprezzarlo per quello che era, lui era molto intelligente, voleva fare macchine e le fece, voleva fare, aveva tante ambizioni. Ogni cosa per lui era una lotta, non si stancava mai, con lui mi sono divertito per 10 anni. Niente è nato per caso con De Tomaso, dietro c’era sempre un grande lavoro, un intreccio di relazioni. Quando ho disegnato la Pantera non volevo fare una macchina elegante come la Ferrari California (365 nda)ma molto sportiva come la voleva lui, con uno stile italiano che è il segreto del successo di quella macchina. Una macchina immediatamente riconoscibile, figlia dell’aspirazione sportiva e dell’idea di corsa di De Tomaso.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!