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Padova. L’originalità premia

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Da anni meditavo una partecipazione alla fiera di Padova, la più grande ed eterogenea d’Europa. I giorni al D-day trascorrono veloci, i preparativi si fanno frenetici e convulsi; è un debutto e tutto deve essere perfetto. Si sa, non si è mai veramente pronti, tantomeno si può aspettare sempre di esserlo, per cui si parte. Il corteo entra al padiglione 14, una sinfonia di tre V8 zittisce il chiacchiericcio della vigilia: mille cavalli hanno fatto il loro ingresso.

Il tempo necessario per gli ultimi preparativi, si accendono le luci e si alza il sipario sulla più importante piazza d’Europa. Quando vedo visitatori chini al lato delle auto intenti a guardare sotto il pianale il sudore si fa sempre più freddo e il brivido sempre più acuto: gli scenari possono essere tanti, come per esempio un lago d’olio uscito chissà da dove e chissà per quale recondito ed inspiegabile motivo. Ma niente di tutto ciò, le tre beauties non mi fanno scherzi, si sono elegantemente concesse agli sguardi dei visitatori dispensando sorrisi, mostrando un pezzo di storia italiana che forse molti hanno dimenticato o semplicemente ignorato. Come ogni debutto importante, le fab three sono il vero hot spot e la curiosità dell’ammiratore deve essere stuzzicata con poche e mirate informazioni. Lo stand è semplice e lineare, nessuna sovrastruttura, il primo contatto è emozionale: l’automobile, la sua interpretazione su tela, la sua storia. Il linguaggio comunicativo scelto sollecita la memoria, la fantasia, i ricordi di una vita.

Lele e Mexico erano alla loro prima apparizione in una Fiera, la prima uscita pubblica dopo decenni di oblio e attesa passati, in attesa di nuove glorie, in rimesse improvvisate e umide. Si avvicinano persone che si ricordano di averle viste anni e anni addietro, di averne conosciuto i proprietari di essere stati presenti al primo giro su strada. Si chiude così il cerchio della memoria, improvvisamente riappaiono e riaccendono il flusso dei ricordi, aneddoti e racconti che rimanevano in qualche angolo recondito, in attesa di una miccia che potesse riaccenderli. “Quella era la mia, 30 anni fa era la mia!” Non nascondo di essermi emozionato e di essere stato sferzato da una ventata di orgoglio nell’ascoltare le testimonianze di questa gente dove il segno lasciato da queste automobili era profondo e ancora vivissimo. Non dimenticherò gli occhi lucidi di quel carrozziere che su commessa della Iso Rivolta verniciò nel periodo 1970-1972 le scocche delle auto, quindi probabilmente anche della mia, e dopo 40 anni ha rivisto il proprio lavoro ancora al suo posto, anche lui con qualche acciacco in più.

Esporre a Padova è stata un’occasione oltre che di divertimento e arricchimento personale anche per vivere il mercato delle auto d’epoca e vederne da vicino le evoluzioni. Dal mio osservatorio privilegiato ho visto trattative sofferte per una Dino 208GT4 e allegre strette di mano per una Ghibli 4700 in condizioni strepitose, come il prezzo del resto. Le auto più corsaiole, le famose “Millemiglia elegible” erano già merce rara il primo giorno di Fiera; le potenti italiane anni ‘50 e ‘60 sono le best performer dell’evento con alcune punte di assoluta eccellenza come la varie 330 GT/GTC, Mistral, Ghibli Spider, Espada o Pantera. Il dato più significativo è una volta di più la vitalità del settore specialmente per quanto riguarda le auto di prestigio. Mai come in questa edizione sono fioccati i cartelli “sold” anche se l’Italia si conferma, purtroppo, come terra di conquista.

Questa è stata un’edizione formidabile per l’interesse e gli esemplari in contrattazione e esposizione, sicuramente insostenibile per la spiccatissima volatilità dei prezzi, spesso milionari, che in certi casi sono lievitati del 50% nel tempo di un caffè. Il valore riconosciuto dai compratori alle auto esposte mai come quest’anno è stato dettato dalle condizioni di originalità. Tempo addietro ho avuto modo di scrivere qualche riflessione su come l’entità e l’invasività del restauro può incidere negativamente sul valore anziché aumentarlo. Ne ho potuto riscontrare la fondatezza. I grandi compratori belgi e tedeschi quest’anno compravano preferibilmente auto conservate riconoscendo un premium price per le condizioni di originalità in particolare degli interni: conservare è infinitamente più difficile che rifare e costituisce quindi un ulteriore elemento di rarità. Quando un compratore cerca di forzare la mano per accaparrarsi un’auto rara, fino a triplicare l’offerta nel giro di qualche minuto sa evidentemente di avere davanti a sé un pezzo non solo unico, ma irripetibile. L’auto d’epoca è costituita da tanti fattori, ognuno di questi concorre a definirla compiutamente, tuttavia il più importante, quello irrinunciabile che garantisce l’effettiva esistenza del carattere storico è la sua originalità ovvero la sua corrispondenza, mediata dal tempo, con l’auto uscita di fabbrica. I restauri invasivi che cancellano ogni traccia visibile del tempo riportano l’automobile all’anno zero, o forse anche più indietro, eliminando ogni traccia di chi l’ha vissuta, resettano la memoria.

Tutto ciò inevitabilmente si riverbera sulla componente storica che si trova profondamente pregiudicata fino alla scomparsa: non è certo il numero di telaio che fa la storia di un’automobile, la vita di un’automobile la fanno le vicende vissute per cui la mera corrispondenza di un telaio non è indicativo di alcunché se non della presenza in un tempo passato di un automobile, spesso profondamente diversa, con lo stesso numero stampigliato. A Padova si sono visti restauri da urlo, vernici specchiate, cromature visibili dalla Luna, pellame teso e perfetto ma senza consistenza, anonimo; nulla parlava dell’automobile, della sua storia. Queste non sono automobili storiche, sono automobili nuove, costruite forse meglio di quelle a cui si ispirano ma che di queste non raccontano nulla: sono assimilabili a una (fedele) replica. Tutt’altro invece per quegli esempi di automobili che nonostante il tempo passato non sono mai state utilizzate e conseguentemente “nuove”. Una coppia di ex concessionari Fiat mi hanno raccontato di essere felici possessori di una Iso Rivolta Lele Sport ancora da immatricolare: un esempio straordinario di una Iso nelle stesse condizioni in cui ha lasciato lo stabilimento di Varedo nel 1974 ma che a differenza di un restauro radicale conserva la propria autenticità. L’autista di Giannino Marzotto mi ha confidato l’emozione di guidare la GT300 del Conte, oramai 40 anni addietro. Rimessosi alla guida dell’auto, il tempo si è riavvolto fino a rivivere i viaggi a tavoletta verso Salerno con il più famoso dei gentlmen driver; uscito dall’auto gli brillavano gli occhi non perché l’auto è bella o profuma di vernice nuova o di concia vegetale ma perché profuma di vita. La vita è la prima qualità che quest’anno è stata premiata a Padova, non stupiscono infatti i record price delle Ghibli conservate, delle Iso Rivolta, delle Ferrari, delle Lancia da competizione favolosamente ricche di quell’esperienza maturata nei circuiti e nelle gloriose cronoscalate alpine. Coerentemente sono rimaste invendute una smagliante Ghibli Spider SS pervinca, svariate E-Type, una rarissima Monteverdi etc. Lo scarso appeal non è stato certo dovuto al prezzo, ho visto pagare cifre iperboliche per “conservati” eccellenti, offrire rialzi del 50% senza batter ciglio pur di accaparrarsi una di queste meraviglie. Conservato non significa rottame, significa un’automobile che pur perfettamente efficiente mantiene ancora gran parte della propria originalità nella meccanica, negli interni, nella strumentazione nella verniciatura; tutti elementi mai compiutamente e adeguatamente valorizzati in sede di omologazione per i gradi superiori ASI.

Automotodepoca 2014 è stato un evento straordinario in cui si sono viste tante, tantissime automobili rappresentative di tutta la produzione motoristica del ‘900, dove si è affermato, nei fatti, un principio importante per il quale la storia, il vissuto, le emozioni suscitate costituiscono il vero parametro discriminante che fa di un’automobile, un’ automobile unica ambasciatrice fedele di una cultura che non deve perdersi nell’inseguimento chimerico di quella perfezione figlia del “più bianco non si può”.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!

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