L'editto-riale

L’originalità. Perfetta sconosciuta

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Non passa giorno che non si legga da qualche parte un post o un commento che pomposamente decanti l’ originalità o la non originalità di una vettura senza essersi evidentemente mai chiesti cosa significhi davvero essere “originale”.

Il collezionismo di auto d’epoca non può non evolversi e l’uso sconsiderato, ormai noioso, dei termini dovrebbe rimanere almeno confinato nelle tastiere di certi leoni digitali.

Il problema che varrebbe la pena affrontare è stabilire che cosa davvero sia l’originalità e quando questa irrimediabilmente si perda. Nei social, parlare di originalità è ormai come parlare di spread, TAV o 4-4-2 .

Cos’è l’originalità e dove la possiamo trovare?

E’ originale quello che esiste fin dalle origini nella sua interezza e autonomia, nel suo essere automobile e non solo perché è un assemblato di parti o pezzi “originali”. Le tecniche di assemblaggio, di costruzione e di finitura del tempo sono parti integranti dell’originalità.

Un’automobile restaurata con pezzi d’epoca è originale? No. Un’automobile oggi conforme allo standard di fabbrica è originale? Non sempre.

L’automobile del nonno, mai riverniciata e sempre gelosamente accudita dal meccanico di famiglia, è originale? Non è detto.

Molti di questi esempi non possono essere considerati esemplari originali semplicemente perché hanno vissuto e sono stati nel tempo mantenuti. Nel vivere, le automobili sono cambiate.  Hanno perduto irrimediabilmente l’originalità intesa come il proprio essere all’ origine e quindi ben oltre lo standard di fabbrica dell’epoca. Ma questo non è un “difetto”.

Le peculiarità di una singola automobile sono infinitamente più complesse e affascinanti del semplice dato dell’originalità che è diventato un elemento che stupisce l’ “appassionato” alle prime armi. Nel mondo del collezionismo automobilistico il concetto di originalità è sempre più chimerico e scollato dalla realtà, spesso abusato ai soli fini commerciali. Le automobili che possono oggettivamente dirsi “originali” sono naturalmente sempre di meno, scompaiono con il passare del tempo come i ghiacciai. L’originalità, quella vera, è ben di più della conformità a quanto uscito di fabbrica e allo standard produttivo: è una vera e propria virtù primigenia che i proprietari avrebbero dovuto custodire gelosamente in prospettiva proprio di poterla possedere come “originale”.

Ciò detto, se a una 500L manca un gocciolatoio cromato o la targa è come nella F, cosa significa? La prima ha sicuramente vissuto ed è questa la sua straordinarietà, ha attraversato i decenni ed è arrivata fino a noi a differenza di tante che si sono perse. La circostanza poi che abbia qualche dettaglio non conforme allo standard di fabbrica non dovrebbe essere ritenuto un difetto, indica semplicemente che è stata vissuta e guidata. Racconta di storie famigliari, vicende belle o meno, che l’hanno cambiata esattamente come è successo al suo proprietario. Perché dovrebbe essere meno apprezzabile di una analoga acquistata magari nel 1967 e lasciata sotto una campana di vetro, asettica , muta e muffa? Solo perché la targa nella nostra F  è posizionata sul paraurti anziché sotto il baffo? Mi sentirei di dire che questo non è collezionismo, tantomeno passione bensì spasmodica ricerca di argomenti a contrario. A meno che non sia stata tenuta davvero sotto una campana di vetro, l’ (apparentemente) “originale” 500L in realtà comunque non lo sarebbe, e nella migliore delle ipotesi  potrebbe essere solo un simulacro di quell’esemplare uscito nel ’67.  Non potrebbe essere proprio quello, perché – fortunatamente – la nostra 500 ha vissuto, ha partecipato alle vicende dei suoi proprietari, ha molto più da raccontare di quella effettivamente originale e ciò a mio parere la rende molto più interessante, le dà un tocco di magic che parla solo alle emozioni .

Verosimilmente oggi, nella maggioranza dei casi, si può parlare tutt’al più di conformità all’originale. Questo ovviamente purché la conformità sia al 100%; è infatti privo di senso parlare di conformità a percentuali inferiori perché – semplicemente – o è conforme o non lo è.

Ma perché poi tanta ossessione a rinviare a queste categorie semantiche? Si è sparsa la voce che se è originale vale di più quindi qualcuno pensa che basti dichiararla “originale” perché lo diventi. Magari fosse davvero così, avremmo lo strumento per elaborare la “perdita”.  Le recenti aste di Parigi, tra alti e bassi, credo abbiano chiarito un profilo  che sfugge a molti. Le caratteristiche che aumentano il valore delle automobili mutano e si evolvono, non sono sempre le stesse. Adesso quello che sta “andando molto” è la storia della macchina, l’originalità fine a sé stessa diventa didattica e non sempre emoziona. La storia invece è unica. Fioccano i barn finds veri o presunti, come l’ultimo di Torino, con storie più o meno interessanti dietro. Un passato sportivo, ad esempio, rende davvero un’automobile unica a prescindere se tutte le viti del cofano siano quelle con cui è uscita dalla carrozzeria di turno. Non sarebbe di certo comunque accertabile.  Aver corso – anche per un po’- Indianapolis o Le Mans consegna definitivamente alla Storia un’automobile.  A chi importa se nella gara è stato cambiato un semiasse o una sospensione con altro “non di fabbrica”? Probabilmente a nessuno.

Una Ritmo 85 appartenuta sempre alla stessa famiglia che l’ha curata con amore per tutta la vita arrivando anche a cambiargli i cerchi di primo equipaggiamento con altri aftermarket magari acquistati dopo lunghe riflessioni vale forse meno di una tutta conforme usata sporadicamente dalla solita everlasting novantenne per andare al mercato? A mio parere no, la sua storia vale ben di più di 4 cerchi e chi è intellettualmente onesto non potrebbe di certo stigmatizzarlo come difetto.

Sono scelte fatte da qualcuno prima di noi e, trattandosi di automobili d’epoca, è bene che sia così.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!