L'editto-riale

FCA = Torino – Londra – Amsterdam – New York

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L’operazione forse più rilevante per un gruppo industriale italiano può dirsi cosa fatta, ieri mattina prima dell’apertura delle borse il Gruppo Fiat ha diramato un comunicato dove in base alle risultanze provvisorie non verrà superato il tetto di 500 milioni di € posto a copertura dei rimborsi (ad azione un controvalore di 7,727€) scaturenti dall’esercizio del diritto di recesso esercitabile dagli azionisti, Fiat e Chrysler si avviano quindi alla fusione, fortemente voluta dal tandem Elkann-Marchionne, e da questa unione nascerà la nuova FCA.

L’opinione pubblica però sembra essersi messa contro l’operazione, inutile dire che la mente, aka Sergio Marchionne, non piace affatto al mondo dell’auto.

Marchionne è un manager puro, non dimentichiamoci che prima di sedersi nel CdA di dell’holding finanziaria Exor Spa (per intenderci la cassaforte della Famiglia Agnelli) ha ricoperto la carica di vicepresidente non esecutivo e Senior Independent Director di UBS, figura altamente competente ma che prende le distanze dalle logiche degli appassionati di auto e, senza alcun dubbio non poteva scegliere gruppo peggiore dove portare la sua ondata da freddo calcolatore: un gruppo intriso di bandiere, fregi, storia e successi.

Sono appassionato di Lancia ed ancor di più rimpiango l’epoca delle prime  Fiat ed Alfa Romeo, che non a caso vincono concorsi d’eleganza un anno sì e l’altro pure, e per quanto mi riguarda non ho condiviso in toto la politica industriale di Marchionne.

Tuttavia l’operazione FCA è altro, non si può rimanere ancorati al passato e sfuggire per ritrosia dall’epoca della globalizzazione, se si vuole tornare a produrre auto di livello come non stiamo più facendo da anni la strategia più sbagliata sarebbe quella di chiedere ad un’industria di isolarsi e di non parlare i nuovi linguaggi imposti dal mondo “là fuori”.

Se molti di noi non condividono le scelte di Marchionne è proprio per la “grandezza” del gruppo che è stato chiamato a gestire e che non ha saputo valorizzare sotto molti aspetti, con una diversa industria di auto gli sarebbe andata senz’altro meglio.

La facile polemica sul nome FCA poi può far sorridere (e pensare che il gruppo per ora si chiama FGA Automobyles) tuttavia questa operazione dovrebbe esser valutata per quello che realmente potrà comportare, un miglioramento della performance, anche fiscale migrando verso paesi dove produrre ed ampliare l’offerta, quindi anche in termini di possibili nuove assunzioni, non è penalizzante (e il nostro fisco resta a guardare), per non parlare dei maggiori capitali entranti grazie alla quotazione newyorkese.

Certo che il classico rumor da corridoio rimbalzato dai soliti “ben informati”, e finito anche sulle colonne del Financial Times, riguardo ad un possibile accordo tra FCA e i francesi di PSA potrebbe nuovamente cambiare la struttura industriale se infatti i due gruppi dovessero fondersi si avrebbe la nascita del qiuinto gruppoi automobilistico al mondo con una capacità produttiva pari a 8 milioni di veicoli l’anno.

Questo potrebbe sbilanciare di molto l’ago della bilancia a favore di chi dice che così facendo perderemmo la nostra identità, per ora però cerchiamo di cogliere il buono da una fusione che ci porta pienamente nel mondo industriale “là fuori” e che questo permetta (economicamente parlando) di salvare musei dell’auto ed iniziative degne della nostra enorme storia.

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Classe 1988, nato a Piacenza, golfista in erba. Formazione classica con tesina di maturità su Gianni Agnelli e laurea in giurisprudenza. La passione per l’antiquariato è di famiglia, passando per le macchine fotografiche anni ’50 – ’70, arrivo al motorismo d’epoca. Ho partecipato di recente alla 13 Chilometri Bobbio-Penice, gara di regolarità nella quale, sprovvisto di cronometro, tenevo il tempo con un automatico anni sessanta. Piazzamento dignitoso, giuria incredula!