Film
THE AVIATOR tra genialità e follie
È il 2004 quando viene presentata nelle sale The Aviator: la (parziale) biografia di Howard Hughes l’avventuriero che non guardava in faccia nessuno pur di realizzare i suoi sogni di gloria. “Non dirmi che non lo posso fare e non dirmi che non può essere fatto”, era il suo cavallo di battaglia.
The Aviator vinse ben cinque premi Oscar: miglior attrice non protagonista (Cate Blanchett), miglior scenografia, miglior montaggio, miglior costumi, miglior fotografia.
Nel film Hughes ha il volto delicato e luminoso di un DiCaprio che ormai è riuscito a scardinarsi dall’intramontabile volto di Jack Dawson di Titanic. Un personaggio di successo, un miliardario circondato da belle donne, produttore hollywoodiano acclamato e aviatore spericolato e geniale.
Lo incontriamo negli anni in cui è occupato a dirigere Hell’s Angels, una follia cinematografica, con una budget stratosferico per quei tempi e che dopo ben tre anni di riprese venne rigirato interamente perché intanto era arrivato il sonoro. Un film che ancora oggi vanta riprese aeree senza eguali e che lanciò Jean Harlow (Gwen Stefani) sul grande schermo. Huges era un maniacale perfezionista, megalomane e sognatore: ventiquattro cineprese per girare una scena non gli bastavano, ne voleva ventisei! Riuscì a compiere imprese stratosferiche: divenne il pilota più veloce del mondo, produsse film di enorme successo (oltre ad Hell’s Angels anche Scarface), rischiò la vita in tre incidenti aerei e amò dive come Ava Gardner (Kate Beckinsale) e Katharine Hepburn (Cate Blanchett).
Ma il regista premio Oscar, Martin Scorsese, ci descrive anche la tragica debolezza di un uomo convinto di non riuscire a combattere la sua battaglia più grossa, quella patologica paura dei germi che lo condurrà all’autodistruzione. Un’ossessione compulsiva che lo distruggerà lentamente, frutto di quei retaggi del passato che lo hanno profondamente segnato: quella madre che lo lavava accuratamente sin da piccolo, per proteggerlo dai germi, da cui non sarebbe mai stato al sicuro. Howard si apparta, tira fuori il suo sapone e inizia a strofinarsi le mani. Beve latte solo da bottiglie ermeticamente sigillate e ripete, ripete ossessivamente, dei comandi. Una vita così, segnata da un’incommensurabile ricchezza, dalla passione per le belle donne, per il cinema e par l’aviazione, che ha un tragico epilogo: una vita di auto reclusione in una camera d’hotel di Las Vegas.
The Aviator è un sontuoso kolossal, degno del personaggio che si vuole descrivere. Scorsese, perfezionista quasi quando Howard, fotografa gli ambienti in maniera diversa durante tutto il film, per evocare le diverse tecniche cinematografiche dell’epoca. Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, un orgoglio tutto italiano riconosciuto anche dall’Accademy, offrono una scenografia dalle tinte smorzate nei primi minuti in cui si illustrano gli anni ’40, l’epoca del Technicolor, per poi passare a colori più naturali, simili a quelli del cinema di oggi.
Ogni dettaglio del film è profondamente studiato, anche gli abiti! Si pensi ad oggetti culto come il giubbotto che Di Caprio indossa nelle scene di volo, che appartiene ad una serie di blouson per l’aviazione realizzati da Belstaff negli anni ’30 e ’40. I modelli originali sono conservati nel Museo Belstaff a Stock on Trent (GB).
La mano creatrice di Ferretti, affiancata dalla compagna (non solo di lavoro ma anche di vita) e arredatrice Francesca Lo Schiavo, ha dato nuova luce alle ambientazioni più sontuose di Hollywood degli anni ’30 come il leggendario Chinese Theatre, che ospitò la prima di Hell’s Angesls, con tanto di biplani appesi o il nightclub The Cocoanut Grove, con palme e ballerine che volteggiano su altalene.
Un film di ossessioni e di immagini che ne catturano l’intensità, come quelle lampadine calpestate, segno di un timore e di un desiderio di fuga da quei flash di fotografi invadenti, che quasi come germi, avrebbero potuto infettare quel desiderio, irrealizzabile, di pura perfezione.