L'editto-riale

L’impatto del green sull’auto d’epoca, è ora di pensarci seriamente

By  | 

L’impatto delle politiche green sul mondo dell’auto d’epoca non ha tardato a profilarsi all’orizzonte, per il momento inducendo alcune amministrazioni ad abbozzare interventi di limitazione del traffico veicolare “inquinante” precisando alcune deroghe, differenziate, a favore delle automobili di interesse storico collezionistico. Città che vai, regole che trovi e si rischia, alla fine di un giro nel weekend, di aver collezionato multe qua e là. Se come sembra, la disciplina della circolazione stradale dei veicoli “storici” tenderà a divenire unitaria e valida su tutto il territorio nazionale, finanche europeo tramite una specifica direttiva in via di definizione, diventerà sempre più pregnante e quindi indifferibile definire il criterio da applicare per riconoscere a un auto “inquinante” la possibilità di circolare sulla base di considerazioni inerenti l’interesse culturale di cui si trova ad essere espressione. Ci sono due interessi egualmente tutelati dal nostro ordinamento che si trovano in questo caso contrapposti, quello ambientale e quello culturale. Il necessario bilanciamento di questi interessi determinerà quindi se la nostra auto potrà continuare a circolare oppure dovrà stare in garage e aspettare tempi migliori. Ma quali sono i criteri con cui esprimere l’interesse culturale e quando questo potrebbe ritenersi prevalente su quello ambientale? Il movimento “green” nelle sue articolazioni specifiche, muove da basi assolutamente condivisibili che però non sempre tengono conto dell’effettiva rilevanza e significatività delle emissioni prodotte da questo specifico “parco auto”. Se l’11% delle emissioni di gas serra proviene dall’autotrazione, una frazione infinitesima di questa è originata dalle vetture d’epoca (I dati esatti sul parco circolante delle vetture d’epoca o munite di CRS potrebbe fornirli l’ASI, maggiore ente rappresentativo del comparto, e l’ACI che attraverso il PRA avrebbe gli strumenti per definire con precisione chirurgica l’ampiezza del numero delle auto ultratrentennali ancora in circolazione). Infatti, a fronte di un parco circolante di circa 52 milioni di vetture (dati AGI 2019) sono 3,8 milioni le auto che hanno tra i 20 e i 30 anni mentre 1,6 milioni quelle tra i 30 e i 40 anni e 1,1 milioni quelle con più di 40 anni. Di queste quelle ultraventennali certificate di interesse storico e collezionistico e registrate al Ministero dei Trasporti (e quindi potenziali destinatarie delle deroghe alla circolazione dei veicoli “inquinanti”) sono circa 49.000 e quindi ponderatamente irrilevanti nel complessivo delle emissioni effettuate da 52.000.000 di veicoli, alla luce peraltro anche delle irrisorie percorrenze annuali, verificabili sempre attraverso i dati acquisiti con le revisioni.  Le vetture con le carte in regola per circolare potrebbero però essere ancora di meno. Infatti, se l’ASI, o gli altri enti deputati alla certificazione, aggiornassero la propria determinazione (CRS) annualmente così come richiesto dall’art. 63 comma 3 della l.n. 342/2000 le auto che in possesso dei requisiti che ne hanno determinato la declaratoria di interesse storico e collezionistico diminuirebbero sicuramente anno dopo anno, vuoi per restauri sbagliati vuoi per precaria manutenzione o conservazione. Alla luce di questi (trascurabili) numeri, potrebbe quindi sostenersi che l’interesse ambientale che viene in rilievo è scarsamente significativo mentre l’interesse culturale soddisfatto dalla permanenza in circolazione di queste vetture è di attuale e assoluto rilievo a certe condizioni. Si accennava prima al fatto che l’interesse culturale associato a una vettura d’epoca è accertato dal CRS che viene rilasciato da uno degli enti certificatori previsti dalla legge che però hanno dimostrato evidenti limiti stante la discutibilità di alcune auto “certificate” che correntemente si vedono circolare o inserzionate per la vendita. Il CRS, infatti, è rilasciato in un dato momento e, per quanto è accaduto fino ad oggi, l’ente certificatore, successivamente al rilascio, non compie più alcuna attività per verificare la permanenza delle caratteristiche che gli hanno consentito di dichiararlo di “rilevanza storica” e quindi idoneo a soddisfare un interesse culturale, quello appunto alla sua conservazione a testimonianza del genio, della produzione automobilistica e industriale e della cultura di un’epoca. È quindi palese che una vettura munita di CRS potrebbe perdere la “rilevanza storica” e pertanto non essere più “immune” alle critiche (ambientali) derivanti dalla sua circolazione a prescindere dall’entità dell’impatto perché nel bilanciamento di cui accennavamo prima l’interesse ambientale risulterebbe prevalente. Un restauro fatto male che ne snaturi la conformità al modello di produzione è di per sé sufficiente a comprometterne l’originalità residua e a recidere ogni legame con l’esemplare uscito dalla fabbrica o dall’atelier di produzione, ciò è sufficiente – sicuramente negli esemplari di grande produzione – a sterilizzare ogni “rilevanza storica” residua e meritevole di tutela. Un esemplare che non abbia più alcun collegamento con quello prodotto ma che ne costituisce di fatto una copia, non ha e non può avere alcun interesse e rilevanza storica: avrà rilevanza sotto altri profili, anche meramente collezionistico, ma non certo quello storico. La riproduzione di un marmo greco, infatti, non ha rilievo storico, ha rilievo in termini estetici, iconografici, didattici, di conoscenza, non storici. Si tratta quindi di un tabù da superare. Parallelamente bisognerebbe non stancarsi mai di affermare, di converso, il totem complementare quello dell’originalità e conformità del mezzo. Risulta infatti difficile postulare l’esistenza di un interesse culturale alla sua conservazione (in quanto ri-prodotto) sufficientemente forte da prevalere su quello ambientale determinato dall’esigenza di contenere l’ impronta determinata dalla sua circolazione. Il dibattito sul “listone” è quindi un dibattito già superato ancora prima di trovare una sintesi tra i litiganti. E’ superato perché fondato su argomentazioni deboli che non tutelano la storicità e quindi l’interesse culturale alla loro conservazione. Una copia riprodotta di un’auto andata perduta e prodotta originariamente in pochi esemplari è senz’altro un’eccezione in sé all’argomentazione proposta, ma una Miura che non conservi oggi sostanzialmente nulla dell’esemplare uscito di fabbrica in quanto completamente “ri-fatta” non dovrebbe avere alcuna immunità per superare i rilievi di carattere ambientale: non è portatrice in sé di un interesse storico tutelabile in quanto (fortunatamente) ci sono altri esemplari che testimoniano il modello e che sono in condizioni di originalità tale da integrare l’interesse alla base della relativa tutela. Il “listone”, quindi, è un elenco vuoto se non agganciato all’accertamento delle caratteristiche di cui si parlava unitamente al monitoraggio della consistenza numerica dei veicoli in circolazione di quel determinato modello. Ma c’è di più. Siamo sicuri che l’auto esclusa dal listone non sia di interesse storico nel senso sopra accennato? Qui i fautori del “listone” tacciono o portano ancora argomentazioni superate o comunque precarie o labili. L’auto esclusa dal listone che sia in condizioni tali da testimoniare un momento storico, anche limitato alla fabbrica che l’ha prodotta, con un grado di fedeltà non comune e quindi superiore alla media degli esemplari circolanti, dovrebbe essere ritenuta sempre di interesse storico e quindi sufficiente a fondarne la tutela.  È fin troppo evidente, infatti, che il rischio in cui si incorre di perdere per sempre un esemplare fedelmente rappresentativo di una produzione specifica costituisce sempre una perdita per la memoria e l’heritage industriale di un Paese anche se, in altri momenti, si era ritenuto al contrario di nessun interesse storico. Si tratta come abbiamo accennato di un concetto dinamico e complesso che non può coesistere con le categorie rigide delle liste o delle certificazioni una tantum. La mappatura e il monitoraggio del parco veicolare sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo appare imprescindibile.

In futuro, l’argomentazione storico-culturale dovrà essere sempre più rigorosa perché la sensibilità verso queste auto cambierà (in peggio) per via delle indiscutibili emissioni e per il rischio di perdita o affievolimento della passione che oggi anima tanti, quindi non è detto che quanto si fa oggi resisterà alle critiche future verso l’effettivo interesse a mantenere su strada e quindi a concedere deroghe ad auto che non portano tracce della storia che si pretende di voler tutelare. Prima di tutto quindi occorre una riflessione seria e la definizione di criteri dinamici di accertamento dell’interesse storico, finalizzati a evitare la scomparsa di modelli particolarmente rappresentativi o in condizioni di particolare e significativa conservazione. La risposta non può certo essere l’elettrificazione delle auto storiche perché – di nuovo – non sarebbe il riconoscimento di un interesse culturale ma sarebbe solo l’affermazione del tutto acritica e arbitraria della primazia di quello ambientale e avremmo definitivamente perso un pezzo della nostra storia. E poi, per compensare l’impatto ambientale delle batterie, si stima che la percorrenza debba essere di almeno 100.000 km nel ciclo di vita dell’automobile, davvero quindi improbabile che l’elettrificazione risponda seriamente all’interesse ambientale e non – più probabilmente – a quello economico.

Avatar

Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!