Marchi del passato
Monteverdi, quello svizzero così italiano
Esiste un decennio in cui l’estro e il genio motoristico mondiale hanno dato il meglio di sé raggiungendo un livello di eleganza così sublime e perfetta da non saper resistere alla tentazione di distruggerla. In questi anni le idee e le sensibilità di designer, carrozzieri e ingegneri lavorano in simbiosi al punto di divenire componenti orientate di un un’unica idea, in cui i singoli apporti non emergevano in sé ma come unicum nel prodotto finale.
Non a caso Giulio Alfieri, mente luminosa appartenente a quel gruppo di ingegneri che hanno scritto martellata dopo martellata, veglia dopo veglia le più belle pagine della nostra tradizione automobilistica, scrisse a proposito di Pietro Frua in occasione della morte di quest’ultimo: “con lui perdo la persona che meglio di qualsiasi altra ha saputo interpretare lo spirito della fabbrica per la quale lavorava e che ha valorizzato le vetture da me progettate”.
E non poteva essere altrimenti. Ghibli, Iso Grifo, Monteverdi 375 S, Mangusta, Miura, solo per citare le più note, non avrebbero potuto concretizzarsi senza la reciproca valorizzazione dei molteplici sforzi creativi e creatori.
Anche la storia di Peter Monteverdi, nata al di là delle Alpi ma così legata all’Italia, non sfugge a questa regola.
Peter Monteverdi nasce da padre italiano nel 1934 a Benningen non lontano da Basilea e non appena diplomato entra nell’officina del padre, allora frequentata da trattori e camion. Il giovane Peter all’età di 16 anni costruisce la sua prima vettura e presto capisce che si stanno creando le condizioni per trasformare il business di famiglia in un atelier di automobili prodotte in piccola serie, era il 1965.
Facciamo un passo indietro. All’età di 22 anni, nel 1956, Peter è oramai un riconosciuto talented race driver che usa spesso vetture Ferrari per partecipare alle gare. Il Commendatore, per gli ottimi piazzamenti e per la quantità di vetture acquistate, gli concede l’esclusiva per la Svizzera per la vendita delle auto di Maranello: è il più giovane Ferrari dealer al mondo. Seguono altri brand, Bentley, Lancia, Jensen ma comincia a farsi sentire la voglia di fare qualcosa di più, di andare oltre il “confezionato”, di dar vita a qualcosa che incarni la propria sensibilità e visione del concetto di automobile: nasce la Monteverdi High Speed 375S.
Pietro Frua veste il telaio della nuova nata Monteverdi e, quasi omaggiando l’opera di Giugiaro, disegna la 375S che ricorda da vicino quella meravigliosa Maserati che ha contribuito a segnare l’inizio della supercar era: la Maserati Ghibli.
Monteverdi, come le coeve Iso Rivolta e De Tomaso, sceglie la formula del motore americano (Chrysler in questo caso) con potenza e coppia in abbondanza, avvolto dalla sofisticata e romantica eleganza tutta italiana. La scelta del motore americano riflette una semplice considerazione: i cavalli devono tirare adeguatamente la bella carrozza. I motoroni americani hanno tanta coppia, potenza e affidabilità a buon mercato (del GM 327 l’altro grande dell’epoca, Giotto Bizzarrini, esclamò “va più di un Ferrari!”) la linea e gli interni sono realizzati dai grandi carrozzieri italiani per cui la ricetta è allettante e sintonica con quanto era solito ripetere Henry Ford II, “investi un dollaro dove tutti possono vederlo”.
Le vendite danno ragione all’intuizione di Peter, tant’è che ogni anno esce un modello nuovo e la serie High Speed si arricchisce presto con la 375L, 375/4 L (competitor delle coeve fab three Iso Rivolta Fidia, Maserati Quattroporte e De Tomaso Deauville) e la palestratissima HAI 450 SS presentata a Ginevra nel 1970, un mostro di potenza da 450 cavalli.
La crisi petrolifera è cieca e colpisce un po’ tutti, Monteverdi però ha un’altra intuizione e converte l’atelier in una boutique e mette in produzione versioni “Monteverdi” di veicoli già presenti sul mercato. E’ questo il caso della Monteverdi Sahara e Safari, grande successo commerciale, realizzati su base International Harvester Scout ma caratterizzati da soluzioni stilistiche più raffinate, allestimenti molto lussuosi e adatti all’impiego dove il petrolio non era un’ opzione, tipicamente nelle polverose strade dei paesi arabi. La straordinaria creazione di Fissore, la 375/4 L viene sostituita nel 1977 dalla più modesta Sierra realizzata su base Plymouth Volarè, ovvero la Tiara realizzata su base Mercedes nel 1982. Sono questi modelli di scarso successo che indurranno presto Monteverdi a interrompere la produzione di auto dedicandosi nuovamente alle corse, nel 1991 nel campionato di Formula 1 con il Team Monteverdi Onyx .
Monteverdi era una persona vulcanica, con intuizioni geniali ed uno spiccato senso di un mercato che oramai esigeva investimenti sempre più importanti per adeguarsi alle vigenti normative obbligando di fatto i piccoli a chiudere.
Chissà se a Chantilly, questo weekend, vedremo allineate, nei loro favolosi colori pastello, gli esemplari di questi atelier che sposando l’idea del cuore americano in un vestito italiano, hanno tanto contribuito a fare degli anni ‘60, i favolosi anni ‘60.