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L’auto d’epoca tra restauro e conservazione

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“Ignorance is like a delicate exotic fruit; touch it and the bloom is gone” faceva dire alla sua Lady Bracknell Oscar Wilde nell’”Importanza di chiamarsi Ernesto” e verrebbe da dire che questo delicato frutto esotico è ancora custodito gelosamente.

Forse nessuno appassionato di auto d’epoca dichiarerebbe di preferire un esemplare restaurato a un conservato ma i conservati sono sempre meno quindi forse tra le intenzioni e i fatti ogni tanto salta un fusibile. Nel confessionale, nella difficile scelta tra lo scintillio del doppio strato e trasparente e una vernice opaca ma originale, spesso vince la prima non senza aver prima speso parole di elogio per la necessità di conservare, custodire, tramandare, etc.

Scegliere di mantenere un’auto originale è un atto coraggioso che comporta sacrificio, dedizione e abnegazione perché la conservazione di un’automobile originale è una sfida che si fa sempre più seria con il passare del tempo. Conservare un’automobile fresca di restauro, bello o brutto che sia, è alla portata di tutti: conservare un automobile che ha lasciato la fabbrica mezzo secolo e più fa è un’altra cosa. La vernice di un’auto conservata infatti molto spesso non è bellissima e non si può pensare di lucidarla indiscriminatamente, lo strato è talmente sottile che un minima disattenzione potrebbe creare danni irrimediabili. Ma non è solo la difficoltà della conservazione che porta i più a optare per restauri totali, probabilmente è anche forse l’incapacità di accettare i “difetti” che si sono accumulati in decenni di servizio che altro non sono se non il segno che l’auto ha vissuto, che ha fatto “storia” appunto. La patina, quella vera, ci parla della storia dell’automobile, dei precedenti proprietari, della loro vita insieme. Nel nichilismo linguistico attuale, molto spesso la patina è confusa con la sciatteria dovuta a una cattiva conservazione. Un restauro degli anni ’80 non ha “patina” o è fatto male o ci parla solo di precedenti proprietari disattenti. Partendo dall’adagio di Wilde, l’originalità è una condizione che esiste in un solo momento, ogni intervento di restauro che non sia strettamente funzionale e limitato alla normale manutenzione, per garantire l’efficienza su strada, ne compromette irrimediabilmente l’originalità e questa non si riacquista più. “Restaurata originale” non solo è un ossimoro, è una idiozia. La passione per l’auto d’epoca dovrebbe portare chi ha la fortuna di avere a che fare con vetture che ancora sono originali, a improntare il rapporto con la propria auto a standard di cura e attenzione non finalizzati all’estetica ma a esaltare la dignità di un pezzo davvero unico. Ogni auto d’epoca conservata nel senso autentico del termine ( e se circola su strada, di farlo in sicurezza) è un pezzo unico, a differenza delle rifatte. Il restauro è sempre un’operazione ripetibile tuttavia mai reversibile: touch it and it’s no longer original. Un’auto restaurata lo potrà essere sempre meglio ma non sarà più originale e pertanto la rarità non è più legata al modello bensì alle condizioni, unico passaporto per entrare nel mondo dell’alto collezionismo che non è più solo popolato di Miura o 250 GTO ma di auto che hanno attraversando i decenni, con i segni che questi le hanno lasciato rimanendo fedeli a sé stesse. La vivacità e i gusti del mercato degli ultimi dieci anni hanno affollato strade e garage di auto bellissime, a volte perfette, ma senza anima, sfavillanti e luccicanti ma replicabili all’infinito. Qualsiasi tonalità di colore è replicabile, qualsiasi consistenza di pelle è disponibile, qualsiasi finitura è eseguibile, l’auto storica è una lavagna su cui è scritta la vita della nostra “opera d’arte”, non cancelliamola perché probabilmente è più interessante di quella che seguirà.

Cedere al fascino del lustrino è facile e non è certo prova di passione, viceversa dedicarsi all’ automobile con lo spirito vero di volerla custodire e tramandare negli anni a venire lo è. Pensare prima al bene della proprio auto, fa di noi dei veri custodi. Questo non significa certo non usare l’automobile, questo lasciamolo a chi ha paura di aggiungere chilometri e superare la soglia infernale dei 100.000Km! Usare l’automobile è un’ accortezza imprescindibile per poterla mantenere in buona efficienza, tuttavia sempre con il senso della misura e con la consapevolezza che un’automobile conservata ha dei limiti intrinseci: le sirene del restauro potranno sempre lusingarci che dopo i vari trattamenti potremo non temere più gli strappi o lo scolorimento degli interni perché la vernice con cui si potranno“ravvivare” perdonerà la nostra sbadataggine a guisa del prodigioso smacchiatore Pinkerton sempre di wildiana memoria.

L’originalità, qualora sia una caratteristica ancora presente -è evidente – si perde velocemente e una volta persa non fa più differenza conservare il “nuovo” interno o la “nuova” vernice o il “nuovo” motore o altre vicissitudini di precedenti restauri. Il senso della conservazione è quello di non aggiungere, quello lo fa il restauro. La propensione alla conservazione è una forma mentis che vede nella purezza dell’idea la bellezza da tramandare. La teoria del restauro di scuola italiana si poggia infatti sui pilastri della conservazione funzionale delle opere, nella valorizzazione della patina e nell’ ”aggiunta” solo in caso di effettivo pericolo per l’integrità residua del bene. La conservazione dell’opera d’arte si fa in sottrazione e questa è la vera sfida per chiunque non voglia irrimediabilmente sacrificare la singolarità di ciascuna automobile condannandola alla mediocrità della ripetibilità.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!