L'editto-riale

Il valore dell’auto storica tra conservazione e restauro

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Il valore di vendita delle auto storiche battute alle grandi asta lo conosciamo tutti, gli echi di Pebble Beach, Londra, Goodwood, Montecarlo arrivano puntuali e con altrettanta prevedibilità suscitano clamore alimentando speculazioni e ambizioni. E’ inutile disquisire sui pezzi unici, quelli che hanno palmares gloriosi o quelli che hanno rappresentato un giro di boa epocale. Non staremo a commentare quindi i risultati delle varie Ferrari 250 GTO, 275 NART o 250 Le Mans i cui risultati d’asta sono peraltro dettati molto spesso da contese tra investitori molto prima che tra appassionati.

Ma lo sappiamo, la logica dell’investimento in periodi di incertezza gioca ad armi pari se non più affilate con quelle della passione.

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Quali sono i fattori che determinano, rectius dovrebbero determinare, il valore di un’auto storica? Sicuramente molti, non tutti di eguale peso. 1) Storicità: l’auto deve aver segnato una tappa più o meno rilevante all’interno della storia motoristica mondiale. 2) Rarità: numero di esemplari prodotti. L’automobile rara ha sempre fascino anche se la sua rarità è conseguenza dello scarso interesse commerciale. Più la rarità è conseguenza dell’esclusività, maggiore sarà l’effetto sul valore. 3) Conservazione: è innegabile che i restauri specialmente quelli invasivi preordinati essenzialmente a rendere un effetto “gloss” o “shiny” o similari hanno un appeal sui collezionisti meno sensibili all’essenza dell’automobile, non a caso lo specchietto per le allodole ha queste caratteristiche. L’originalità, ovverosia la conservazione coerente con le caratteristiche di fabbrica, diventa corollario della sua unicità. 4) Performance: oltre al glamour, allo stile di muoversi su mezzi che hanno costruito e dato forma all’eccellenza motoristica, il dato della performance occupa una posizione di non poco rilievo tra i fattori che suscitano interesse nell’acquirente e quindi predisposizione ad offrire cifre più significative. 5) Suadenza: l’appeal che quella auto ha per noi, in altre parole quanto siamo disposti a pagare in più dell’effettivo valore pur di avere “quella”. E’ evidentemente una componente irrazionale che in molti casi prescinde dalle altre componenti ma si fonda su una serie di fattori affettivi, emozionali, giovanili, emulativi etc per cui siamo a disposti a riconoscere un premium price rispetto ad altri. 6) Sostanza: il valore intrinseco dell’auto, la qualità costruttiva, i materiali, le soluzioni tecniche, in altre parole la frazione tangibile dell’automobile. 7) Moda: la domanda di un certo modello nei mercati di riferimento.

Il fenomeno riguarda in particolar modo le sportive italiane 1950-1980 ed è un riflesso del sempre maggior favore che il marchio Made in Italy riceve nel mondo; ma non è solo questo. L’auto storica è ambasciatrice della sua epoca nel nostro tempo, è l’espressione “visibile” dello spirito di chi l’ha voluta e creata. Il valore, che quindi non può prescindere dalla “storicità”, è intimamente e necessariamente parametrato a quanto è fedele a questa immagine. I restauri cd. americani che tendono a cancellare i segni del tempo non fanno altro che cancellare l’anima, l’espressività, i tratti d’impeto che costituiscono la storia visibile e intima dell’automobile. Un interno dignitosamente conservato di una Ferrari, Iso Rivolta, Aston Martin, Fiat, Osca, etc. la vernice originale anche se imperfetta, induce sensazioni e stimoli cognitivi che il restauro, quando è invasivo e mirato al mito del “as new”, cancella per sempre. Ciò si traduce, o meglio dovrebbe tradursi se il mercato dell’auto storica fosse davvero animato dalla passione, in una diminuzione del valore dell’auto per perdita della corrispondenza tra ciò che era e ciò che è. ferrari-250-gt-california-spyder-247430 1962_Ferrari_250_GTE

Quando, e molto spesso accade perché è il mercato che rafforza le mode, una gloriosa Ferrari 250 GTE viene “ricarrozzata” in Spider California, dal patrimonio motoristico mondiale scompare un auto storica e compare un fake, un qualcosa che non è più quello che era e non è, né sarà mai, quello che vorrebbe essere. In altre parole è una copia, una replica, una maschera veneziana che cela la spinta edonistica e dissimula il tentativo del committente di accedere ad un club evidentemente troppo esclusivo. Tutto questo non c’entra con la passione, con la conservazione del patrimonio automobilistico, è la risposta al moderno fenomeno dell’omologazione ai trend, alla moda scevra da ogni partecipazione emotiva; il valore in questi casi è effimero e non dipende da altro se non dalla comunanza di intenti tra chi compra e chi vende. Mantenere in efficienza un’ auto storica è un dovere per chi abbraccia questo mondo perché si fa custode di un pezzo unico assumendosi l’onere di portare avanti l’impegno dei precedenti proprietari affinchè nulla vada perso.

Quando si restaura con l’obiettivo di raggiungere e a volte superare le condizioni “as new” credo che il restauro abbia ecceduto il suo fine facendo perdere all’auto, e alla memoria motoristica globale, ogni traccia di sé. Di contro si può obiettare che in molti casi la base di partenza è così compromessa che l’unica soluzione percorribile è il rifacimento tout court senza troppi scrupoli. Questo è accettabile solo come extrema ratio, come last resort e non quando la base è tale per cui un rammendo, una lamiera o un’ imbottitura può soddisfare la necessità della conservazione quandanche non della purezza estetica. Il valore da tutelare è altro. Il valore dell’auto questo dovrebbe riflettere, l’impegno profuso per la conservazione non per la sostituzione di questo o quell’altro per il solo fine estetico. Qualcosa in questo senso sta cambiando, alla recente asta di Gooding, la Mercedes “Gullwing” telaio 6500299 del 1956 ha raggiunto la stratosferica cifra di 1.897.500 USD.

I più penseranno che la cifra sborsata sia giustificata dalle condizioni eccezionali della vettura e che questa sia stata “restaurata” dai più rinomati atelier specializzati nella stella di Stoccarda. No, questa Gullwing era un barn find, non uno di quelli con una balla di fieno ad hoc nel baule, un vero barn find, con addosso i segni vissuti della sua storia. Alla stessa asta, una Gullwing “restaurata” ha trovato casa per 400.000 USD in meno. Perché? Unicità e originalità, sono i criteri direttori che hanno guidato questi “discerning bidders” nell’impresa di aggiudicarsi qualcosa di veramente unico e carico di quella storia che un restauro irrispettoso delle peculiarità individuali avrebbe irrimediabilmente cancellato.

Quando all’interno di un auto si fatica a rintracciare i componenti con cui è uscita di fabbrica se non il numero di telaio, quell’auto non è quella uscita di fabbrica. E’ un’altra, la coerenza del numero di telaio e di motore (se siamo fortunati!) con la targhetta riepilogativa ed il modello non fa dell’auto di cui si tratta quella che è uscita di fabbrica, tantomeno un’auto storica perché di storico, inteso come sedimentazione progressiva degli eventi e delle emozioni dalla costruzione a oggi, non ha più nulla, è come riformattata.

Di ciò il mercato pare accorgersi, lentamente, e a valorizzare l’originalità rispetto alla perfezione estetica che, peraltro, raramente esisteva all’uscita di fabbrica! De iure condendo, una presa di posizione dell’Asi – per lo meno fino a quando l’Ente rimarrà il faro del settore – sarebbe utile per definire i limiti del restauro perché si possa ancora parlare di auto storica e sarebbe altresì auspicabile per aprire un dibattito costruttivo che ad oggi sembra latitare. Inoltre, nel libro dei sogni, sarebbe opportuna anche una novella legislativa che oltre alla definizione stringente e precisa dei requisiti perché un’auto sia “storica”, introducesse un vincolo alle facoltà di disposizione del proprietario di certe auto, al pari di quello che accade con i beni di interesse storico artistico monumentale, per impedire loro di disperdere il patrimonio di originalità per incuria o nel tentativo, o meglio nell’ossessione, di raggiungere un’incomprensibile idea di perfezione.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!

3 Comments

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    emanuele

    25 Settembre, 2014 at 12:38

    Complimenti a Manuel Bordini per l’attenta e documentata distinzione tra CONSERVAZIONE e RESTAURO, questo articolo fa’ riflettere tutti “noi” appassionati su come abbiamo visto e gestito fino ad ora questo mondo e su come dobbiamo approcciarsi in futuro …………………

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    Manuel

    25 Settembre, 2014 at 18:33

    Il punto nodale credo che sia la nozione di auto storica, questa va ben al di là dell’ anzianità del modello in sè. Un auto storica ha vissuto ed a questa circostanza deve la sua essenza. L’ estro e il genio di chi l ha fatta e progettata possono essere riprodotti ma inevitabilmente saranno una copia che brilla del ricordo dell’ originale e ciò non conferisce alcuna storicità

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