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Il Terriccio più nobile: viaggio alla scoperta del Lupicaia

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Il sole è già alto, la luce colpisce e disegna paesaggi sospesi. Il vento di ponente dona vita e muove le foglie come i tasti di un pianoforte tra le mani del più bravo dei pianisti. Sulla strada per Castellina, si intravede ad un certo punto un cancello sorretto da un muro di mattoni rossi, sanguigni. Al di là del cancello, un mondo di bellezza e laboriosità celato dietro alti e austeri filari di eucalipto.

Il Castello del Terriccio, storica e vastissima tenuta nei pressi di Cecina e non lontana dalla oramai celeberrima Bolgheri, è un’azienda “di territorio”. L’affermazione potrebbe sembrare tautologica se non banale, ma in realtà vivendo e toccando la realtà territoriale distribuita su circa 1800 ettari si scopre l’esistenza di un rapporto sinergico tra l’attività aziendale e la natura. L’allevamento del bestiame, la rotazione colturale, la gestione dei boschi, la coltivazione della vite nonché le attività agricole di raccordo sono orientate non solo ai moderni criteri di sostenibilità ma anche a rinsaldare un rapporto di rispetto e coesione col territorio come strumento di indispensabile di qualità, quella che rispecchia le matrici fondamentali territoriali e infonde nei prodotti aziendali il proprio DNA.

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La vastità delle tenuta in un territorio, per certi tratti complesso, come quello delle colline metallifere, implica la presenza di un caleidoscopio di zone e microclimi capaci di esprimere altrettanti terroir. Tenuto conto, oramai come concetto acquisito, che ciascuna coltivazione ed in primis la vite, per poter esprimersi al meglio e fondersi con i tratti primari del territorio, necessita di un terreno vocato ed un quadro climatologico adeguato. Le zone dove la composizione del terreno risulterebbe inospitale anche per le coltivazioni cerealicole, nella Tenuta di Castello del Terriccio sono destinate all’allevamento ed al pascolo delle Limousine, mentre una vasta parte della proprietà è occupata da boschi la cui gestione è effettuata nel rispetto del ciclo vegetativo delle piante e delle specie selvatiche che qui trovano il loro habitat ideale. I terreni migliori, assolati ed esposti verso il mare, ricchissimi di minerali con tessitura argillosa e sabbiosa, ricchi a tratti di galestro e vene calcaree sono quelli destinati ad ospitare la vite che qui assorbe la varietà territoriale che ritroviamo poi nei vini. I terreni che ospitano i vigneti del Lupicaia (dal nome del torrente utilizzato dai lupi appunto abbeverarsi) godono di un’ esposizione sud-sud est e hanno il caratteristico colore scuro, quasi di ruggine, che tradisce la forte matrice ferrosa e sono circondati da impressionanti barriere frangivento costituite da alberi di eucalipto, specie resistente alla siccità e al fuoco e capace di imprimere all’aria e al terreno la tipica sensazione balsamica.

Non stupisce quindi che nel corredo gusto olfattivo dei vini rossi di Castello del Terriccio e nel Lupicaia in particolare (Cabernet Sauvignon in ragione dell’85%, Merlot e Petit Verdot) le note di eucalipto siano così nette e decise. Quando si parla di vini di “territorio” ovverosia di vini che offrono una lettura del territorio e che parlano del territorio , si vuole sottolineare questo elemento: nel vino ritroviamo gli elementi che condizionano la vite e che vivono con questa in un rapporto osmotico. La mineralità scura e marina che ritroviamo in ogni sorso, le erbe aromatiche , i sentori di sottobosco, l’eucalipto, le tenui note selvatiche, costituiscono la risposta del vino, e prima ancora della maturazione polifenolica dell’uva, al proprio territorio e alla sua vocazione, è il terroir fisico e culturale che plasma il vino.

Non vi è dubbio che quando il vino diventa recettore del territorio e lo esprime fedelmente come nel caso del Lupicaia 2009 la qualità del prodotto è emozionante. Il vino è un prodotto vivo, cresce e raggiunge una propria maturità che è il precipitato della sua storia. Molto prima del lavoro in cantina c’è quindi il lavoro in campagna, la preparazione del terreno, la scelta delle barbatelle, della tipologia di impianto (cordone speronato), le botti, l’allestimento della cantina, il lavoro sapiente del personale a contatto con la vite: sono tutti fattori capaci di incidere sulla qualità e fedeltà del vino al proprio territorio.

Il Cabernet Sauvignon coltivato e vinificato qui, è un vino a sé stante, è sospeso. La tradizionale eleganza, mineralità, sapidità e la possente spina acida si stemperano con la mineralità scura, le note di violetta in fase evolutiva e la spiccata balsamicità di eucalipto. Il Lupicaia 2009 (Rosso IGT, Cabernet Sauvignon 85%, Merlot 10%, Petit Verdot 5%) si presenta di un colore rosso rubino compatto, austero, quasi materico. Al naso si presenta in tutta la sua eleganza di lampone e mora selvatica, i sentori di sottobosco e i rimandi agrumati di cedro accompagnano il degustatore verso note terziarie di terra, mineralità ferrosa e soave balsamicità con una spiccata sapidità circondata da ricordi di macchia mediterranea e violetta.

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In bocca esprime le sue sensazioni più eleganti con una straordinaria persistenza e ritorni di violetta in perfetta coerenza con le note olfattive. La spinta acida e la componente polifenolica sono presagio di una vita lunga e polimorfa, i tannini di fattura nobilissima perfettamente amalgamati con la componente alcolica ci parlano di un vino di straordinario equilibrio, pronto oggi come tra vent’anni ma mai uguale a se stesso.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!

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