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Maserati 5000GT: nove sfumature di regalità

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La Maserati 5000GT non è solo un’auto, è un’emozione che ha assunto una forma ed un proprio spirito nei 32 telai costruiti e che in ciascuno di essi ha espresso un’idea, un’espressione vibrante, altissima e colta dell’ Automobile, quella che condensa in sé le aspirazioni del genio. La 5000GT è forse l’automobile che più di ogni altra ha rispecchiato l’essenza e la personalità del proprio acquirente, colui che l’ha voluta e ordinata, l’ha chiesta a propria immagine e somiglianza; la nuova Maserati era il pinnacle dell’automobile, l’irraggiungibile.

Frua

Frua

Nove sono i carrozzieri che hanno dato forma all’idea di Giulio Alfieri e Omer Orsi, resa possibile dall’espressa richiesta di S.A.I. Lo Scià di Persia, e ciascuno di quei 34 telai di cui oggi conosciamo tutto o quasi ma che continuano a stupire perché raccontano di un’epoca formidabile fatta di creatività, passione, dedizione e altissime aspirazioni, rappresentano al contempo un’ autonoma espressione della 5000GT e la straordinaria vitalità che pervadeva la Maserati di quegli anni.

Adolfo Orsi, infatti, si riferisce a quel periodo (1959-1965) come il golden period dell’azienda di famiglia. I profili degli acquirenti che in quei cinque anni specificamente vollero la 5000GT sono tanto eterogenei quanto le linee delle diverse carrozzerie realizzate. Tuttavia furono tutti indistintamente uniti dall’eleganza e dalla ricerca di quell’eccellenza che si manifesta senza clamore, senza dover essere urlata. Esattamente come quel V8 con le testate verdi capace di prestazioni estreme o di borbottare sommessamente nel traffico cittadino senza lamentarsi, con regale compostezza.

Michelotti

Ghia

Gianni Agnelli, l’Aga Kahn, Ferdinando Innocenti, principi sauditi, alcuni esponenti della taciturna e discreta nobiltà italiana, illustri professionisti tra cui l’arch. Engelhardt, il Presidente del Messico Lopez Mateos, Basil Read, Antonio Orsi sono solo alcuni dei proprietari di queste auto. Oltre naturalmente al radioso acquirente del telaio capostipite delle 5000GT (telaio 103.002), lo Scià di Persia Reza Pahlavi, carrozzato dalla Touring di Milano con dettagli in oro zecchino e avorio. A quest’ultimo in effetti, dobbiamo forse quantomeno il merito di aver favorito la decisione di Orsi e Alfieri di produrre una GT ad elevatissime prestazioni: la prima vera supercar.

Reza Pahlavi, da tempo cliente delle più prestigiose case automobilistiche europee ed in particolare italiane, in visita nel 1958 all’Accademia Navale di Livorno esprime a Giulio Alfieri e a Omer Orsi il suo desiderio di avere qualcosa di più prestante e performante di una “semplice” 3500 GT, qualcosa che gli potesse dare soddisfazione nei momenti di pausa dagli impegni ufficiali del trono del Pavone. Lo Scià chiedeva un’automobile che esprimesse il suo indiscutibile status ovunque si trovasse, non doveva essere solo l’auto di un Re ma doveva incarnare qualcosa di ancora più grande e formidabile.

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Lo Scià avrà poi modo di ripetere questo suo desiderio anche in occasione di una successiva visita a Modena, dove esaminando i cataloghi della 3500 GT vede alcune brochure della 450S ed in quel momento scocca la scintilla che nella sua testa assocerà la 3500GT al motore V8. Giulio Alfieri, non appare sorpreso della richiesta dell’Imperatore, ma al contrario coglie l’occasione al volo: in fabbrica giacciono ancora tanti motori della 450S, gloriosi V8 da 355 cavalli e distribuzione ad ingranaggi il cui destino pare ormai segnato a causa del ritiro della casa del Tridente dalle corse. Il telaio sarebbe stato quello della 3500GT opportunamente rinforzato nei punti che il nuovo propulsore avrebbe maggiormente sollecitato; da 220 cavalli si passava infatti a 355cv del muscoloso V8 da corsa, con un incremento di potenza di oltre il 60%. Il telaio 103.002 destinato a Sua Altezza Imperiale viene vestito dalla Touring con una carrozzeria che verrà ricordata per sempre come “Scià di Persia”.

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La Touring realizza una carrozzeria sublime, meticolosa, estremamente ricca ed imponente, esageratamente scenica dove ogni dettaglio parla del suo committente, della sua grandezza, dove è perfino previsto un sistema di illuminazione esterna che segnala la presenza del sovrano a bordo; le bandierine dovevano evidentemente sembrare da dilettanti o semplicemente da comuni mortali. Gli interni sono impreziositi da dettagli in oro zecchino al posto delle cromature, il pellame e i legni sono scelti e selezionati con la massima cura possibile e nessun dettaglio è lasciato al caso, neppure il volante stilizzato a tridente rovesciato. L’auto non doveva solo apparire, doveva essere la prima tra tutte, proprio come il suo proprietario.

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La regalità non si costruisce mettendo una corona in testa o kilometri quadrati di pelle di cinghiale, è parte consustanziale dell’essenza, dell’idea di cui Reza Pahlavi doveva essere molto geloso tant’è che la 002 non venne mai presentata a nessuno Show o Salone internazionale ma consegnata direttamente al garage del palazzo imperiale di Teheran. Touring interpreta meravigliosamente quest’idea, donando alla 5000 GT dello Scià di Persia una linea composta e discreta, che trasuda velocità, corse e competizioni; quando il V8 va in moto, la coupe elegante si trasforma nella race car per i grandi e leggendari circuiti di Le Mans, Sebring, Indianapolis, Città del Messico, Kyalami e Buenos Aires.


La dinamicità del progetto 5000GT (internamento tipo 103) è stato oggetto di costanti e cospicui aggiornamenti durante tutto il periodo di produzione. E’ possibile infatti individuare anche all’interno di una ridottissima produzione numerica una prima serie che individua le auto prodotte con i quattro carburatori Weber 45IDN e la seconda serie caratterizzata dall’iniezione Lucas, la cui affidabilità è stata molto spesso, e forse a ragione, criticata. I motori della prima serie hanno una cilindrata leggermente inferiore (4.937,8 cc) rispetto alla seconda serie (4.941,1 cc) ma gli interventi su alesaggio e corsa sono stati funzionali a migliorare le doti di coppia e piacevolezza di guida.

La prima 5000GT della seconda serie è la #103.010 che subirà rifacimenti e cambi di numero di telaio (103.090) ma che nel 1975 ritornerà ad avere quello di prima costruzione. A proposito della propensione di queste auto ad “essere aggiornate”, è interessante segnalare che di 5000GT sono stati costruiti 32 esemplari oltre a 4 rifacimenti. Il più celebre e conosciuto dei “rifacimenti”, per le conseguenze che ha avuto nella storia della casa modenese, ha riguardato il telaio 103.022 che originariamente carrozzato Allemano e venduto al Presidente del Messico Lopez Mateos, a seguito di un devastante incidente venne ricarrozzato questa volta con la firma di Vignale (unica 5000GT Vignale e disegnata dalla penna di Giovanni Michelotti) mantenendo inalterato il numero identificativo (sembra per evitare di dover pagare dazi doganali al rientro in Messico, l’auto infatti era “formalmente usata”). La linea di questa 5000GT anticipa quella che sarà l’erede del tipo 103, ovverosia il tipo 112 commercialmente conosciuto come Mexico appunto.

I trait de union che legano la Mexico alla 5000GT sono quindi molteplici, peraltro anche le finiture interne del modello di Vignale anticipano quelle che poi sarebbero apparse sulla Mexico di produzione. Inoltre, il motore che equipaggia l’ultima 5000GT carrozzata Frua (103.100) è infatti il V8, 4700 cc da 300cv e non più l’originale propulsore che equipaggiava le sue “sorelle”. La straordinaria esperienza della 5000GT non si conclude quindi con la 103.100 ma idealmente prosegue e si evolve con l’altra grande GT a quattro posti della casa del Tridente, il tipo 112/1 Mexico 4700 V8 e il tipo 112 Mexico equipaggiato con il più piccolo 4200.

112/1 Mexico

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Le prestazioni velocistiche sono impressionanti, 270 km/h. Hans Tanner, un giornalista dell’epoca che ebbe la fortuna di provare una 5000GT con il mitico collaudatore ufficiale Guerino Bertocchi, racconta di aver percorso i 28 km di via Emilia che separano Bologna da Modena in appena 6 minuti e 50 secondi (oltre i 245 km/h di media) altri tempi, altro traffico! Il nostro giornalista racconta anche della famosa curva lungo la via Emilia che forse molti conoscono, tra Castelfranco e Modena e descrive così l’esperienza: “sulla strada verso Modena, Bertocchi mi disse che voleva provare qualcosa di molto speciale. C’era una lunga curva progettata per essere percorsa al massimo a 124 miglia/h. Controllai il contachilometri, segnava i 158 (252km/h). Bertocchi commentò che non era male, per quella velocità occorreva un po’ di concentrazione”.


L’esemplare che abbiamo fotografato in questo servizio è la #103.062 di proprietà del Museo Panini di Modena. Non a caso è stata scelta quest’auto, attorno alla quale non c’è ancora accordo unanime tra la “dottrina” maseratista.

Alcuni autori, per lo più risalenti (e.g. Richard Crump), hanno scritto che la 062 oggi carrozzata Allemano in realtà sarebbe nata Bertone. Maurice Khawan invece, nella “bibbia” sopisce il dilemma affermando che sin dall’origine è stata Allemano e che non rappresenta quindi il quinto caso di rifacimento. Non siamo riusciti a chiedere conferma al primo proprietario, Gian Carlo Guasti.

Al riguardo occorre precisare che come molto spesso accade per le auto a limitatissima tiratura; gli ordini di acquisto subivano in fase di produzioni molte modifiche, a volte venivano ceduti ed i “cessionari” avevano preferenze diverse rispetto ai “cedenti” che pertanto apportavano modifiche senza che queste venissero poi annotate in tutti i registri.

La 062 a parte questo piccolo “giallo” è una pantera acquattata, sublime nella perfezione delle sue linee. Tutti i dettagli sono pensati per la maestosità dell’auto; ogni cromatura, cornice, fregio tradisce abnegazione per il bello, per stupire e per essere sempre all’altezza di quel generoso cuore con le testate verdi.

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Grazie all’impegno del compianto Umberto Panini e dei figli, a cui va il nostro ringraziamento per averci consentito di scattare queste immagini, possiamo ancora vedere  in terra modenese questo esemplare perfettamente conservato la cui storia vi racconteremo molto presto nel dettaglio.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!