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La Champagne, tra storia, tradizioni e vigneti

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Il volo è in orario, devo solo attendere che la fila all’ imbarco proceda spedita. Il cielo è sereno e blu nonostante l’ora del mattino mentre l’ aria inaspettatamente tiepida ed effervescente alimenta l’euforia. Il pensiero va subito al viaggio, all’esperienza, alle persone che incontrerò, ai territori, ai vini.

Reims si presenta austera è grigia, il vento da nord ci impone di selezionare con cura il percorso verso il ristorante, nonostante sia pomeriggio inoltrato di un qualunque giovedì di marzo; per strada non incontriamo nessuno, siamo in un posto speciale. “Ma è abitata?” Comincio a dubitarne. La lista dei vini tradisce dove siamo, una straordinaria selezione di vini locali, tante cantine, alcune mai sentite, ma da scoprire. L’ essenza del viaggio dopotutto è la scoperta, l’ arricchimento, la consapevolezza di aver banalizzato per troppo tempo un prodotto eccezionale relegandolo dietro le solite etichette, oro, arancio o bianche. L’ euforia ci contagia, non avrebbe avuto alcuna importanza pranzare con hamburger, insalata o altro, sicuramente l’ abbinamento perfetto sarebbe stato con un millesimo di champagne ed in questo caso un Abelè 2004 Magnum e bienvenue en Champagne!

Le visite si susseguono numerose, le realtà che incontro sono variegate dalla grande maison Laurent-Perrier con i suoi 150 ettari di proprietà al piccolo vigneron indipendente, recultant manipulant. L’ approccio di Laurent-Perrier e’ quello delle grandi realtà, dove la riconoscibilità e la riconducibilità del vino allo stile della maison è di fondamentale importanza: abbiamo così vini sapidi, spiccatamente minerali, dal perlage fine con una matrice acida esuberante quasi citrina. Nel Grand Siècle ritroviamo sentori di terra e funghi accompagnati da evocative note gessose avvolte da una straordinaria freschezza giovanile nonostante la cuvee non utilizzi annate recenti. È proprio il caso di scriverlo, ostriche e champagne offerte sull’altare dell’abbinamento talmente scontato da risultare banale dal cerimoniale della Maison.

Il lavoro in cantina è straordinario, i vini base provenienti da 14 Gran Cru sono stoccati in acciaio all’ interno di un luogo mistico, quasi una cripta dove Nicole, ‘ ambasciatrice’ di LP, ci conduce, in silenzio, alla scoperta delle migliori espressioni dei grandi terroir di champagne. Ed è così che sfilano in rassegna i principi di Ambonnay, Verzanay, Ay, Mesnil sur Oger, Tours, etc…Lo stile Laurent-Perrier e’ semplice e pulito, la liquer costituita da quattro grandi annate precedenti garantisce equilibrio e riconoscibilità dello stile nel perfetto abbinamento con crostacei, risotti ai funghi e pietanze spiccatamente grassi come il fois gras o salmone affumicato. Il Brut regala uno spaccato del territorio, la progressione in bocca dona la sensazione, quasi mistica, di avere nel bicchiere le mille sfumature del territorio, il gesso, i fossili marini, il sottobosco,componenti armonici di una musica sublime che non svanisce lasciando una scia sapida con note citrine e di funghi, quasi tartufo.

Laurent-Perrier e’ una realtà d’ eccellenza che trova la sua arma fidelizzatrice nella riconoscibilità dello stile, elegante minerale a tratti marino, e nella perfezione di un assemblaggio risultato delle ultime migliori quattro annate. Lo stile Laurent-Perrier è un viaggio nel tempo, ricordi di terra e funghi completano un’ esperienza di cui Le Grand Siècle costituisce lo stargate verso le migliori tavole del mondo in ogni epoca, che sia quella ricca e variopinta dell’ Africa coloniale, mercato di riferimento per la Maison, oppure quella d’affari o quella glamour degli indimenticabili matrimoni reali.

La Champagne è uno scrigno di preziosi. Le gemme colorate, trasparenti e sfavillanti sono le cantine nei quali trovano rifugio le tante bottiglie, le tante annate, le tante espressioni del territorio che solo il Pinot Nero, Pinot Meunier e lo Chardonnay riescono a leggere e cristallizzare nel bicchiere. Eric Rodez, bohemien dello Champagne, mette sul tavolo una selezione di vini non solo buoni bensì straordinari, dove ogni sfumatura del vitigno e della parcella sono sintetizzati in termini di effervescenza, acidità, complessità, morbidezza e calore. Non stupisce infatti che le sfumature dei vini di Champagne siano cosi diverse tra loro, il terroir è altrettanto poliedrico.

Il clima, l’esposizione, la composizione del terreno, i venti, le tecniche agronomiche e enologiche, la vision del vigneron, in sintesi il terroir”, concorrono alla qualità complessiva del vino ognuno apportando un tassello che il degustatore attento rintraccerà nel bicchiere. Per questo è quasi impossibile trovare due bottiglie uguali, la sensibilità del vitigno consente di avere uve espressione di annata, territorio, parcella, tecniche agronomiche; è questa sensibilità che declina nel bicchiere la ricchezza della Champagne che nel quadro di una matrice sapido minerale che colora di sé ogni vino.

Ogni vigneron fa il suo vino, ogni vino parla del vigneron. Quello di Jaques Beaufort è un libro aperto. La degustazione spazia dai vini di Ambonnay a quelli di Polisy. La mineralità marina, la struttura acida dei vini Grand Cru di Ambonnay surclassa, con grazia, quella calcarea di Polisy. Beaufort tratta le bottiglie come i pulcini dell’attiguo pollaio, la sapienza della gestualità mai fredda e distaccata denota un attaccamento quasi paterno con il prodotto, ognuno diverso dall’altro. Le annate passate in rassegna, 2009, 2006, 2000, 1998, 1996, 1990, 1988 sono come un souk mediorientale, un tripudio di lingue diverse, di profumi, di consistenze. Il 1988 demi sec aperta per sua stessa ammissione da quasi un mese rivela una freschezza giovanile, senza tempo. La trama acida è potente, la morbidezza le note di pasticceria fresca di frutti di bosco, il perlage quasi impercettibile parla del terroir, del tempo, della storia lenta e vissuta di questa regione. Ogni sorso evoca immagini diverse, ogni sorso concilia la riflessione non solo sul vino ma sulla vita, proprio come ci aveva preannunciato la nostra guida a Laurent-Perrier. Nicole Snozzi. Prosaicamente applicando il brocardo in vino veritas, ci ha parlato dell’effetto terapeutico dello Champagne, l’alto contenuto in sali minerali infatti avrebbe riflessi positivi sull’umore e sulla visione schietta della vita. Non entro ovviamente nell’aspetto medico, posso però riflettere sobriamente sul fatto che lo Champagne, quello non stilizzato e omologato, se ha effetti positivi sull’umore di chi lo beve lo deve a se stesso, alla sferzata di vita che porta con sé, alle emozioni che racconta, ai mille e mille profumi nascosti tra le sue note, alla sua effervescenza a volte muscolare a volte sussurrata ma sempre capace di emozionare e raccontare dello straordinario territorio da cui proviene.

Lo Champagne va fatto esprimere, gli va data fiducia. I piccoli vigneron lo sanno e su questo aspetto investono anno dopo anno. Sia che si tratti di Beaufort, di Rodez, di Moncuit, di Ruinart dalla bottiglia deve trasparire l’annata e il territorio. L’aggiunta di liqueur “omologanti” se da un lato fa lo stile della maison, da quell’altro limita il carattere del vino, che non potrà più esprimere la sua storia se non mediata da altri fattori caratterizzanti. I vini di Champagne, quelli che celebrano il terroir nelle mille sfaccettature possibili, quelli che colpiscono con la sapidità, la verve acida a volte quasi citrina per poi regalare sensazioni di morbidezza quasi materica, avvolgendo il palato e il retro olfatto con i sentori decisi e accennati di terra, di mineralità calcarea, di frutti e fiori bianchi, sono una finestra sulle meraviglie del panorama enologico mondiale, unico ed irripetibile.

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Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!